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Per parlare di formazione mi sono avventurato in una lunga chiacchierata con Mauro Santinato, presidente di Teamwork Hospitality, che organizza Hospitality Day, il principale evento in Italia dedicato alla formazione turistica, che quest’anno ne compie dieci e dove ci sarò anch’io tra i relatori.
Iniziamo!
IL QUADRO GENERALE
(D.) Mauro, da cosa partiamo?
Sono tornato da un viaggio in Giappone e mi sono detto: «il servizio non ce l’abbiamo più». La cultura del servizio, in senso ampio, non solo alberghiero. Il servizio in genere.
(D.) Intendi chiunque per mestiere si relazioni con le persone?
Esatto. Più nessuno lo insegna o ti indica cosa vuol dire, ci stiamo abituando a un abbassamento generale. Anche nei 5 stelle.
(D.) Anche se poi il racconto è un altro: non è importante il marmo della hall, ma il servizio.
Eh, c’è sempre una contraddizione tra quello che si dichiara e il resto.
Te ne accorgi perché manca la parte procedurale: nessuno ti insegna come si fa una mise en place, perché oggi il problema non è avere un bravo cameriere, ma averlo!
(D.) E questo è profondamente legato alla formazione.
Il paradosso è che la crisi del capitale umano non è un problema nato con il covid. Già negli anni ‘80 se ne parlava, la logica ai tempi era mandare all’alberghiero il figlio che non voleva studiare.
(D.) C’era una forma di ritrosia al lavoro turistico. Ricordo che quando ero ragazzino, era percepito più dignitoso fare l’operaio che il cameriere.
Ci si scontrava con il preconcetto del servire.
(D.) Forse anche perché il lavoro da operaio dava più sicurezza?
Per il posto fisso. Ma le cose evolvono e oggi abbiamo problemi diversi, perché non tutti vogliono sacrificare il tempo libero e la vita personale.
Detto questo, sono vent’anni che non vedo un’azione concreta.
LO SCENARIO DELLA FORMAZIONE
(D.) Da parte di chi?
Cos’ha fatto Federalberghi negli ultimi anni? Ha messo in campo azioni correttive? Cinque cose da fare? Iniziative per dare dignità e reputazione, magari certificazioni etiche.
Se non troviamo i giovani, è anche perché scelgono un’altra strada. C’è una dispersione del 92% tra le persone che si diplomano all’alberghiero. I programmi sono rimasti agli anni ’70.
(D.) Però, spesso, il disinnamoramento avviene durante gli stage, ad esempio per colpa di tutor inesistenti.
È spesso un circolo vizioso all’interno del quale non vedo un’azione virtuosa.
Ad esempio, è da quando io e te avevamo i capelli che si parla di una scuola di management alberghiero.
(D.) Io e te i capelli? Molto tempo allora.
Quanti ne abbiamo sentiti parlare di progetti in tal senso?
(D.) Un po’ tutti direi.
Appunto, tutti. Da Confindustria, che insieme a TH Resorts e Cassa Depositi e Prestiti doveva lanciare una scuola manageriale, ma poi nulla.
(D.) Perché?
Un tempo il settore non cercava manager, chiedeva operativi.
Mentre Statler Hotels, già negli anni ’20 investì nella Cornell University perché c’era bisogno di manager per gli hotel, noi non abbiamo sentito questo bisogno perché il nostro tessuto non era di catene alberghiere.
Da noi, alcune scuole alberghiere funzionavano e funzionano bene. Nel tempo, ci sono stati direttori che si sono auto-formati grazie alle tante stagioni. Questo ai tempi della Ciga.
(D.) E quello che stavo per chiederti: l’eredità della Ciga si è persa?
Nota: se non conosci la Ciga perché sei giovane o ti occupi di altri aspetti del turismo, alla fine c’è un link di approfondimento1.
È semplicemente finita. Quel percorso per cui si doveva sempre partire dalla gavetta.
Oggi, quando si parla di una scuola manageriale non si vede un chiaro riconoscimento, c’è troppa dispersione.
(D.) Cosa intendi?
Manca il tassello tra il primo livello formativo e il mondo del lavoro. Manca una formazione specialistica.
Pensa alla scuola di Glion, acquisita da un fondo d’investimento insieme alla scuola di Le Roches e a quella di cucina di Alain Ducasse.
Noi non ci arriveremo mai, non c’è più spazio. Poi, per stare al passo con questi numeri la governance dovrebbe essere in parte pubblica, non vedo altrimenti. E quindi?
(D.) Un fallimento in partenza?
…In partenza.
Arrivando alla formazione d’azienda, per tanti anni le imprese non ritenevano fosse di loro competenza formare lo staff: chi arrivava doveva saper operare. Questo con molti limiti. C’era la scuola della Ciga e poche altre eccellenze.
(D.) Ma qualcosa di buono ti viene in mente?
Le esperienze positive che posso vedere sono gli ITS, non tutti ovviamente!
Qui escono studenti formati su online distribution, revenue, marketing, tecnologia vanno nelle aziende e spesso ne sanno più dei loro referenti.
LA FORMAZIONE AZIENDALE
(D.) Certe volte vedo confusione nel panorama formativo: sono disfattista o c’è un marasma?
Non ci sono barriere all’ingresso e questo permette a chiunque di entrare e dire la sua. Talvolta c’è chi racconta di essere il numero uno, e poi convince anche gli altri.
Il mercato non sempre ha la capacità di distinguere.
E in alcuni ambiti è ancora peggio. Chiunque può dire di fare marketing territoriale, essere esperto di DMO, semplicemente perché ha fatto due stagioni in un tour operator.
(D.) Hai parlato di revenue e online distribution, tra gli argomenti che piacciono di più. Mi ha fatto pensare che spesso ci si forma in modo maniacale solo nel proprio ambito, così non viene a mancare la visione di cosa sia l’ospitalità?
È un rischio. Ho conosciuto persone, anche molto competenti, che appena vanno fuori dal proprio ambito si perdono.
(D.) E in un settore come il nostro, con così tante interdipendenze non è corretto.
Infatti, magari puoi non comprendere tutto al meglio, ma se non hai una visione ampia rischi di non capire qual è il senso, come dici tu, dell’ospitalità.
Un albergo non è revenue o online, è tutto.
(D.) Dai, fammi fare una domanda ruvida.
Sentiamo.
(D.) Non ci sono più consulenti, persone che consigliano, di persone che operano?
È vero. 1 marzo 1985, è il giorno in cui ho tenuto la prima lezione di formazione. Ai tempi non c’era un’offerta di consulenza alberghiera, forse eravamo gli unici, e più o meno è stato così fino al 1999, all’avvento di internet.
Poi sono arrivati i guru del digital. Noi non facciamo web marketing per scelta, al contrario molte società nate con la consulenza web, si spostano verso la parte gestionale.
Così c’è il rischio di diventare tuttologi, ma dato che controllano il business che proviene dal digital, hanno grossa influenza sugli hotel.
(D.) Te lo chiedo quasi ingenuamente: perché dipingersi guru fa così presa?
Forse si spera di trovare la soluzione ai problemi in modo facile. Qualcosa al di fuori.
(D.) La formula magica?
Ecco, bravo.
(D.) Torniamo a noi, e la formazione finanziata?
Ci sarebbero tanti soldi da usare grazie ai fondi interprofessionali come Fonter o Forte, ma tutto il meccanismo è fortemente burocratico, così, la maggior parte del budget si spende in costi di struttura e il compenso per il formatore è basso.
(D.) Ci sono nuovi approcci formativi che reputi interessanti?
Il nostro è un mondo che spesso segue i ritmi delle stagioni turistiche, durante le quali si lavora con ritmi intensi. Per questo credo molto nel nostro progetto Welevel Academy, che offre corsi di formazione a distanza.
(D.) Ci vediamo all’Hospitality Day allora; per salutarci dimmi cos’è per te.
Nasce come un evento per accendere lampadine, dare stimoli. È una cosa nella quale credo. Ci sono momenti formativi di ogni tipo, anche laterali rispetto al business.
E al suo decimo compleanno e mette insieme cinquemila tra albergatori e addetti; credo non ci riesca nessun altro, forse il Papa se organizzasse un’udienza per la categoria.
È tutto, ci vediamo giovedì.
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Ciga Hotels, ovvero Compagnia Italiana Grandi Alberghi: una breve sintesi.