Ciao, sono Emilio De Risi e questa è 21 Grammi di Turismo.
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Si riparte e non ci sono canzoni in chiusura (grazie a chi mi ha scritto dicendomi di aver apprezzato il format estivo).
Oggi c’è una storia, e mi sono sforzato di raccontarla da un prospettiva un pochino diversa: ti parlerò di giardini e alberghi, delle persone che se ne prendono cura e di altre con storie difficili alle spalle.
GIARDINI, HOTEL E PERSONE
Sempre più spesso gli hotel ottimizzano gli spazi in modo da trarre reddito da ogni metro quadro.
Ma quindi, cosa vuol dire per un hotel curare un giardino che non porta un fatturato diretto, o almeno non paragonabile allo sforzo per gestirlo?
Non parlo di un prato con qualche pianta, quanto basta per l’aperitivo, ma di giardini belli e maestosi.
Pensa di entrare in un hotel di lusso, che è stato un palazzo signorile, poi un convento e un’ambasciata. Pensa che dopo aver attraversato la hall si aprano 2000 metri quadri di giardino. E fa’ un ultimo sforzo: pensa di essere a Venezia.
Allora vuol dire che sei al NH Collection Venezia Grand Hotel Palazzo dei Dogi.
L’INCONTRO
È fine agosto. Entro nell’hotel NH Santa Lucia, a pochi passi dalla stazione. Ad aspettarmi c’è Raffaello Panariello, cluster general manager di NH Santa Lucia e NH Collection Venezia Grand Hotel Palazzo dei Dogi.
Un saluto e si va; c’è gente, ma si cammina senza problemi. Attraversiamo il ghetto ebraico, guardo i palazzi di un’altezza inusuale per questa città, ci infiliamo in una stretta calle ed eccoci a Cannaregio, e di lì in pochi passi in albergo.
PASSEGGIATA IN GIARDINO CON RIFLESSIONI ALBERGHIERE
Entro in giardino e suonano le campane. Per un attimo mi illudo sia un benvenuto speciale: mi sopravvaluto, è solo mezzogiorno. Raffaello mi dice che sono le campane della chiesa della Madonna dell’Orto, proprio vicino al palazzo.
Camminiamo. Il mio livello di cortisolo, l’ormone dello stress, si è normalizzato già al terzo passo.
Attraversiamo la zona romantica con la fontana, la piccola panchina in pietra e il ponticello.
Senza troppo romanticismo chiedo a Raffaello come si approccia un direttore alla gestione di un giardino così complesso.
Mi fa notare un muro.
«L'altro giorno ho visto un fico selvatico che sta crescendo lì, mi preoccupo che le radici possano infiltrarsi e spaccare il muro di confine. A questo punto mi confronto con il botanico e mi dice che il rischio c’è, ma è un lavoro da fare in un’altra stagione».
Quindi lo sguardo è teso verso l’estetica e la gestione dell’albergo, ma confrontandosi con il parere esperto del botanico.
«Sai, sono general manager di questo hotel da un anno; vivendo le sue prime quattro stagioni ho notato delle cose, dei cambiamenti.
Noi ci impegniamo a preservarlo affinché continui a essere una testimonianza della storia del palazzo, offrendo un’esperienza autentica ai nostri ospiti e agli esterni».
Sono curioso di sapere quanto costi la manutenzione di un giardino così importante; provo a lanciare una sassolino.
«Non è il costo la cosa più importante, per noi il valore è legato soprattutto al mantenimento di un bene storico all'interno della città di Venezia».
Lo rintuzzo e dico che certo, sì, capisco ma non è un impegno da poco.
«Nell'arco dell'anno, sì, è un impegno oneroso. Ad esempio, abbiamo realizzato tutto il sistema di irrigazione e così abbiamo migliorato anche la qualità del lavoro dei nostri giardinieri».
Gli propongo la mia riflessione di partenza, come si concilia la cura di uno spazio verde importante con la tendenza alberghiera a pensare al fatturato per metro quadro.
«Ti parlo per quanto riguarda le strutture da 5 stelle in poi; in questi casi l’obiettivo deve essere diverso, gli ospiti devono poter fruire della bellezza».
LA LAGUNA
Alzo gli occhi verso la fine del giardino, un grosso arco si apre sulla laguna. Lo passiamo e ci fermiamo sul pontile.
Il vento muove una bandiera della pace sbiadita sulla casa privata di fianco.
La visuale è ampia. Raffaello mi fa notare le montagne in lontananza, l’isola di Murano e, sulla destra, il cimitero. È raggiungibile solo in barca, ma nei giorni del 2 novembre viene montato un ponte in metallo per poterci andare a piedi.
La navetta che fa la spola dall’hotel a piazza San Marco si avvicina al nostro pontile, a bordo un ragazzo e una ragazza vestiti di un golfistico bianco.
Solo il grosso e indecifrabile tatuaggio che uno dei due ha sulla gamba destra rende attuale quell’immagine che sembra arrivata dagli anni ‘60.
Andiamo via.
Al ritorno nella hall un gruppo di americani si prepara a una visita. Il giardino oltre a essere segnalato su diverse guide, riceve membri di associazioni botaniche e culturali.
Raffaello mi pare orgoglioso di queste visite e in effetti mi ribadisce un pilastro importante della sua compagnia: l’eredità culturale. Investire nella salvaguardia del patrimonio lagunare prendendosi cura del giardino, ma anche appoggiandosi a fornitori di artigianato locale.
IL GIARDINAGGIO CHE AIUTA LE PERSONE
Entriamo nel bar dell’hotel, il La Voga, dove ci aspetta il botanico: Livio Lorenzon di Laguna Fiorita.
Livio è il supervisore dei giardini e ha contribuito, sotto il controllo della soprintendenza, all’impianto del nuovo giardino.
Ma Laguna Fiorita ha un’altra caratteristica: è una cooperativa sociale e dà lavoro a una quindicina di ragazzi e ragazze con storie complicate alle spalle.
C’è chi è nato con disabilità motorie o psichiche, altri le hanno a causa di maltrattamenti e abusi. Alcuni hanno una famiglia, altri vivono in comunità. Ma Livio mi dice che tutti hanno una cosa in comune: a fine giornata sorridono.
«Ogni squadra è composta da quattro persone, una di loro ha delle disabilità. Sono con altri colleghi giardinieri che li rendono partecipi nelle attività. Per loro è stimolante anche il contatto con i dipendenti dell’albergo».
Formarli, mai come in questo caso, varia da persona a persona. Alcuni tirano fuori inaspettate doti naturali, altri fanno cose più semplici, ma Livio è certo che quasi sempre preferiscono lavorare alle vacanze.
Quando non lavorano per un po’ gli appaiono più immusoniti, intorpiditi.
LA DIFFICOLTÀ DI CURARE UN GIARDINO
Il nuovo impianto ha delle piante attinenti al disegno originale, ad esempio l’acero giapponese e la palma cinese. L’albero più vecchio è un bagolaro di 250 anni, lo chiamano spaccasassi perché le sue radici sono così forti da farsi strada tra le pietre. Da lui, negli anni, ne sono nati molti altri e il giardino è diventato quasi un bosco.
Chiedo a Livio di parlarmi delle difficoltà di lavorare in un giardino come quello del Palazzo dei Dogi.
«Il lavoro grosso è in inverno, o meglio da quando iniziano a cadere le foglie. Negli ultimi anni fa sempre più caldo e cascano a novembre. Tiriamo su qualcosa come 50 metri cubi di foglie, questo strato non può essere lasciato perché marcendo entrerebbe nel terreno. Non è solo una questione estetica.
Ma il vero problema a Venezia è lo smaltimento. Se abbiamo un inverno asciutto le foglie pesano poco e le tiri su velocemente, se inizia a piovere ci vuole molto più tempo. Poi le portiamo in una zona di compostaggio dove le stocchiamo, le mescoliamo all'erba e al macinato delle potature. E così otteniamo del compost organico».
Qui la logistica complica tutto, gli dico.
«Non solo, rende tutto più costoso. Ad esempio il terriccio costa il 30 - 40% in più rispetto a quello della terraferma. Per portarlo qui dobbiamo far arrivare una motrice al Tronchetto. Poi, dal porto del Tronchetto deve essere scaricato con le gru e caricato su delle barche enormi».
Penso che le difficoltà nella gestione siano finite qui, ma prosegue.
«Se abbiamo un albero che vogliamo tagliare perché è malato o è diventato pericoloso, bisogna sempre interagire con la soprintendenza. Ma alla fine siamo fortunati perché la direzione dell’albergo è molto attenta a queste cose e il confronto con loro ci aiuta».
Per chiudere la chiacchierata gli chiedo quale sia per lui la pianta più preziosa del giardino.
«Abbiamo molte specie di ortensie tra le quali una molto rara: la schizophragma. Fa parte della famiglia delle ortensie però è un genere diverso e fa un fiorellino piccolo a forma di cuore. Poi le rose antiche come la lamarque, che è una varietà del 1830».
Siamo seduti, bevo un bicchiere d’acqua e fisso le travi del soffitto che arrivarono al palazzo viaggiando attraverso i corsi d’acqua, dalle segherie alpine fino alla laguna.
Mi distraggo guardandole.
Immaginavo ci fossero molti punti delicati, ma non avevo considerato quanto Venezia renda tutto più complesso. E poi ci sono i ragazzi che tra gli alberi e le foglie del giardino trovano un posto nel mondo.
Sto per salutare Raffaello e Livio, ma lui sorride.
«Ah, un’altra cosa. È da un po’ che una coppia di picchio rosso maggiore ha deciso di vivere nel giardino».
E mentre lo dice sembra emozionato come Charlie Brown che ha appena visto la ragazzina dai capelli rossi.
Ed è tutto, ci vediamo.
Sono sempre stata affascinata dal “lato verde” di Venezia: spesso nascosto e totalmente inaspettato!
Durante il lockdown ne ho scritto sul mio web magazine ripromettendomi di tornare nella città lagunare per visitarla da questa prospettiva ma non sono ancora riuscita a esaudire il mio desiderio.
Il tuo articolo me lo ha risvegliato…
Questo il mio (che andrebbe aggiornato riguardo l’attuale proprietà dell’albergo):
https://www.cittameridiane.it/voglia-ditalia-tornare-a-venezia/
Bentornato! Davvero bella questa intervista, e il modo in cui hai scelto di svilupparla. Insolito, ma interessante, l'argomento: posso chiederti cosa ti ha portato a un approfondimento di questo tipo?