Ciao, sono Emilio De Risi e questa è 21 Grammi di Turismo.
Racconto il mondo del turismo tra economia, etica, società e innovazione.
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In questo numero: una riflessione sul concetto di Post crescita nel turismo e una storia sui limiti.
OLTRE LA CRESCITA
La lettura di oggi richiede uno sforzo di immaginazione, o quantomeno contemplare la possibilità che possa esistere un modello diverso.
Qualche giorno fa, guardando un video editoriale pubblicato su Lucy sui mondi, ho scoperto che Lancet, un’autorevole rivista scientifica, ha realizzato uno studio che mette in luce una preoccupazione: la continua crescita economica nei Paesi ad alto reddito può non essere socialmente vantaggiosa e sostenibile dal punto di vista economico e ambientale.
Se fosse un romanzo avrebbe un incipit intuibile, ma è uno studio e l’idea forte viene subito dopo.
La visione del paper è di superare il tradizionale modello basato sul Prodotto interno lordo, sostituendolo con il Gpi, il genuine progress indicator, che include aspetti come i costi ambientali, la conservazione della biodiversità e la lotta alle diseguaglianze.
È la Post crescita. Non profetizza la rinuncia alla crescita economica, ma di contemplare una visione che non sia solo quantitativa. Che non sia solo muscolare. Per me è stato un po’ come scoprire quello che sentivo giusto.
Come immaginare la Post crescita nel turismo.
Il turismo è misurato quasi esclusivamente su parametri quantitativi: arrivi, presenze, fatturato e budget col segno più.
Quindi, come passare da un turismo basato sul Pil a uno basato sul Gpi?
Ipotizzo che un primo passo potrebbe essere spostarsi da metriche solo quantitative ad altre più qualitative che considerino la soddisfazione dei residenti, la salvaguardia ambientale o la distribuzione equa dei benefici: privilegiare le forme di turismo che supportano l’economia locale, ridurre l’uso delle risorse e il loro impatto.
Si può ribattere che sono già degli obiettivi perseguiti da chiunque parli o si occupi di turismo sostenibile.
Ma il punto della Post crescita è cambiare lo sguardo, svincolarsi dall’idea che lo sviluppo sia solo economico. Spesso, anche quando si parla di sostenibilità, alla fin fine si insegue la performance economica, l’equazione sempre più spesso è: «fai turismo sostenibile per vendere di più».
Come racconta il professor Pievani nel suo video editoriale, ci vuole uno sforzo di fantasia e immaginare soluzioni nuove.
A proposito di immaginare…
Mi sono imbattuto in un’altra risorsa interessante: una pubblicazione dell’Organizzazione mondiale del turismo che contiene un compendio di buone pratiche relative al turismo delle popolazioni locali (indigenous tourism), soprattutto nei paesi dell’America centro-meridionale.
Un concetto che torna spesso nel report è che per stimolare lo sviluppo turistico responsabile bisogna dare potere alle comunità indigene.
È tutto correlato ai diritti e all’autodeterminazione delle popolazioni indigene, alla possibilità che esercitino delle forme di controllo sul turismo.
Anche in questo caso proviamo a fare un piccolo salto mentale, uno sforzo di immaginazione: potremmo trasportare quest’approccio in destinazioni turistiche occidentali?
In cosa potrebbe tradursi questo cambio di sguardo?
Ad esempio, avere ben chiari i limiti non oltrepassabili dal turismo e, di nuovo, supportare una distribuzione dei benefici più equa con i residenti: due punti che possono condurre a una migliore integrazione tra turismo e tessuto sociale, oggi più che mai necessaria.
LIMITI
Concludo questa newsletter con una storia che parla di limiti, che nell’immaginario sono un ostacolo da superare e lasciarsi alle spalle. Ma è sempre così?
Un pilota, un politico, un uomo d’affari e un imprenditore sono seduti al tavolo di un pub: parlano e bevono una pinta, o forse due. Sono ex commilitoni dell’esercito inglese e stanno pensando a come raccogliere dei fondi per un’organizzazione di veterani.
Per scherzo, o forse no, nasce l’idea: «scaliamo l’Everest», dice il politico. «Ma siamo tutti impegnati e ci vuole troppo tempo», lo zittisce un altro.
Scalare cime del genere significa che il tuo corpo deve abituarsi gradualmente all’altitudine, per questo una spedizione può durare diverse settimane.
È qui che entra in gioco la Furtenbach Adventures, l’agenzia organizza delle spedizioni per scalare l’Everest in tempi molto rapidi, anche in una decina di giorni: accelera il processo di acclimatazione del corpo facendoti respirare un gas, lo xeno.
Costo della spedizione circa 150.000 euro.
Magari tra qualche anno viaggeremo tutti sotto xeno, chissà.
Non ho voglia di fare un commento, preferisco lasciare 4 punti interrogativi: Ci sono dei limiti che potremmo anche non superare? Quanti inneggeranno alla società geniale che ha trovato una ricca nicchia di mercato? Dobbiamo comprare tutto solo perché possiamo permettercelo? Quanto può essere drammaticamente elastico il concetto di esperienza turistica?
È tutto per oggi, alla prossima.
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