Ciao, sono Emilio De Risi e questa è 21 Grammi di Turismo.
Racconto il mondo del turismo tra economia, etica, società e innovazione.
🌞 Questa è la versione estiva di 21 Grammi di Turismo, e funziona così:
Un fatto interessante. Un racconto, una notizia o una riflessione (o un mix delle tre);
Un film e un libro. Un’ispirazione, anche indiretta, sul viaggio;
Una canzone. Che ho pensato giusta per il numero.
E perché no, mi aspetto di poter stravolgere questo format e concedermi una deviazione, che dopotutto è la forma più avvincente del viaggiare.
Help. Una lettrice mi ha contattato in privato per segnalarmi dei refusi molto strani nelle ultime due newsletter, così strani che era indecisa tra una mia svogliata apatia e l’uso di chatgpt. Beh, io quelle cose non le ho scritte (tendini al posto di tendono, ad esempio) e non capisco come sia possibile. Se dovessi leggerne anche a tu, puoi farmelo sapere? Devo indagare. Grazie.
LA CAMERIERA
Ci sono ancora quei posti. Anche a Milano. Dove puoi mangiare ragionevolmente bene senza spendere cifre folli. Posti dalla cucina rapida, che macinano un numero impressionante di coperti e dove passa un’umanità variegata. Posti vecchi, certo, ma non il finto vecchio creato ad arte per dare l’idea dei buoni sapori di una volta: ristoranti dalle pareti in radica anni ‘80, che però hanno gli utili e ormai introvabili attaccapanni.
Ce n’è uno vicino casa, dove vado ogni tanto, quando ho poca voglia di cucinare e una certa fame.
Qui lavora la cameriera più brava del mondo.
Ha i capelli scuri legati con uno chignon alto e compatto, le orecchie un po’ a sventola e la resistenza dell’olimpionica Nadia Battocletti.
È veloce e precisa, difficile le sfugga qualche dettaglio: se ti manca una posata; se non hai il cestino con la focaccia per la quale stravedo; se il tuo piatto tarda ad arrivare.
Non sono un cliente abituale, eppure ricorda che ho preso un quartino di vino e che bevo il caffè amaro; sorride a tutti, ma se vede il giovane collega (una sagoma che meriterebbe un numero tutto per sé) battere la fiacca, lo raddrizza a metà tra il severo e il materno.
E soprattutto non hai bisogno di chiamarla, ti basta alzare un dito o guardarla e sorridere, perché lei tiene sott’occhio i suoi tavoli. Sempre.
Lavora lì da quattro anni ma il mestiere l’ha imparato, così mi dice, facendo la cameriera per sette anni in un ristorante cinese. E ha quell’espressione di chi ti sta dicendo di aver fatto una palestra di vita. Vado a pagare. Al piccolo desk c’è una donna, penso la proprietaria, che batte scontrini senza sosta. Mi sorride, indico la cameriera che in quel momento mi sta passando vicino e le dico «è proprio brava», smette di sorridere e mi guarda enigmatica come una sfinge.
Esco, una linea di alberi alti mi fa ombra, cammino e ripenso a quel banchetto in un hotel di lusso dove la commis si toccava di continuo i capelli e si appoggiava con le spalle al muro: è bello sovvertire le aspettative suggerite dalle vetrofanie attaccate come medaglie all’ingresso.
Questa, però, non è un’apologia del ristorante a poco prezzo, perché la mia altra cameriera preferita, anzi chef de rang, l’ho incontrata in un cinque stelle lusso: allo Spa resort delle terme di Saturnia.
Aveva la stessa morbida alternanza tra sorriso e piglio deciso, la stessa vista scanner e la padronanza perfetta degli spazi. Lei aveva molta più tecnica, ma è normale direi, e un percorso più tradizionale: alberghiero, stage in strutture di alto livello, lavoro.
Il nome della mia chef de rang preferita non lo ricordo più, sono passati anni, ma quello della mia cameriera prediletta sì: Macy.
Se penso a queste due lavoratrici, penso a due caratteristiche. Una è tecnica: saper guardare, che secondo me è la cosa più importante per chi fa il cameriere; l’altra è umana: ci sono persone che devono fare bene il loro lavoro, non possono farne a meno. Non è da tutti e non è la norma, e sarebbe bello se responsabili e datori di lavoro questa virtù la riconoscessero sempre. Anche con del vile denaro.
Che strano, viviamo in un mondo che salta dalla retorica del «nel turismo l’eccellenza sono le persone» al cinismo del «non hanno più voglia di lavorare»; dalla sdolcinatezza del «tu sei speciale» alla spietatezza del «nessuno è indispensabile».
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📽️ UN FILM
Lost in Traslation. Un attore di mezza età sul viale del tramonto e una giovane donna si conosco a Tokyo nel corridoio di un hotel e nasce una complice amicizia. Forse qualcosa di più? L’albergo è il Park Hyatt Tokyo e la regista riesce a rendere gli spazi un’essenza fondamentale del film.
Curiosità extra: l’hotel è chiuso per una ristrutturazione in vista del 30° anniversario.
📘 UN LIBRO
Un gentiluomo a Mosca (di Amor Towles). Immagina di essere un aristocratico che dopo la rivoluzione russa viene condannato al confino, pena la morte, nell’Hotel Metropol' di Mosca. È un romanzo storico ambientato in un hotel quintessenza dell’hotellerie, che ci dice com’era un ottimo albergo, ma anche com’era un perfetto cliente.
🎵 UNA CANZONE
Puoi ascoltare un po’ di jazz dalla voce di Ella Fitzgerald che, a tema con il titolo di questo numero, canta I want the waiter.
È tutto per oggi (grazie a chi mi ha scritto per La versione estiva, puoi ancora farlo se ti va).
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