Ciao, sono Emilio De Risi e questa è 21 Grammi di Turismo.
Racconto il mondo del turismo tra economia, etica, società e innovazione.
🌞 Questa è la versione estiva di 21 Grammi di Turismo, e funziona così:
Un fatto interessante. Un racconto, una notizia o una riflessione (o un mix delle tre);
Un film e un libro. Un’ispirazione, anche indiretta, sul viaggio;
Una canzone. Che ho pensato giusta per il numero.
DESCRIVERE
Il consiglio di uno scrittore e un filmato vecchio ottant’anni sono alla base di questo numero.
Chi si occupa di turismo, prima o poi dovrà descrivere. Poco importa se si rivolgerà al turista o ad altre aziende; se parlerà della destinazione, di un viaggio o di un albergo. Dovrà descrivere.
Si, ma come? Tre stili piuttosto diffusi sono:
Quello compilativo;
Quello egoriferito;
Quello della vendita.
Il primo è fatto per riempire spazi e pagine, perché qualcosa bisogna scrivere. Ci si mette dentro qualche frase fatta, che tanto le persone verranno comunque.
Nel secondo, quello egoriferito, a prevalere è l’io di chi scrive o fa scrivere, il resto è in secondo piano. Il terzo, è pensato solo per convincere a fare un click o comprare un pacchetto.
Già lo sai: in ognuno di questi modelli ci vedo qualcosa di storto, di incompleto.
Provo a mettere qualche punto fermo.
In un laboratorio al quale ho partecipato uno scrittore ha sottolineato quali sono i rischi della descrizione, eccone tre:
Scriverla noiosa;
Compiacersi di quello che si sta scrivendo;
Pensare solo al valore estetico.
Sul primo punto penso di non dover argomentare.
Il secondo in un certo senso si ricongiunge alla narrazione egoriferita. E non pensare solo all’ego di chi scrive, ma anche a quello dell’imprenditore, del ceo o del direttore marketing che vogliono raccontare una storia a senso unico, magari esaltando solo alcune parti.
Il terzo, anche questo delicato, scava in quel malinteso che il racconto turistico sia fatto d’estetica più che di sostanza, scordandosi che la descrizione è funzionale alla storia.
Lo scrittore parlava di narrativa, ma credo che i concetti siano universali e utili anche per raccontare il turismo.
Fin qui ho detto del far scorrere le dita sulla tastiera e descrivere quello che vogliamo far vedere, sentire e annusare.
Adesso andiamo al cosa.
Mi sono imbattuto in un video vecchio ottant’anni. Spiega ai soldati americani cos’è un pub inglese. Cosa si può fare e cosa no.
È lo spezzone di un girato prodotto dal Ministero dell'Informazione del Regno Unito durante la seconda guerra mondiale, e spiega alle truppe statunitensi arrivate in Europa come comportarsi in contesti e luoghi specifici. Al pub ad esempio.
Siamo lontani dal turismo, eppure un collegamento mentale mi ha fatto pensare al concetto di autenticità.
Nel turismo tutti la inseguono, o almeno ne parlano, che sia l’agriturismo di campagna o il più sfarzoso dei cinque stelle lusso di città. È un concetto che piace, suona genuino, poi che vorrebbe visitare qualcosa di posticcio?
Ma se gratti, sotto lo strato della dichiarazione ufficiale nessuno ti spiega cosa voglia dire autentico. Lo so che il 95% delle realtà turistiche ha questa parola almeno in una pagina web, ma confido nella possibilità di riflettere sull’argomento.
Per beffa sotto la dichiarata autenticità spesso ci sono idee e messaggi folkloristici, come la signora che prepara la pasta fresca avanti alla porta di casa.
Quante volte leggiamo o sentiamo: «Offriamo ai nostri ospiti un’esperienza autentica».
Cosa significa? Gentile, premurosa, attenta ai bisogni, col sorriso aperto. Dovremmo dirlo, anche perché le espressioni vaghe, quelle che ognuno può ricostruire come vuole nella mente, lasciano un margine di incomprensione tra chi scrive e chi legge.
Ma capisco la scelta, una parola generica è come una campana tibetana: produce un bel suono ed è vuota dentro. Richiede meno impegno.
Se poi la nostra idea di autentico coincide con il folklore, così sia, ma pensiamo a quel video lungimirante prodotto durante la guerra, rivolto a un popolo per comprenderne meglio un altro. Per sfatare i miti.
Possiamo provare a creare un racconto equilibrato che sappia miscelare il fascino del folklore alla solidità del contemporaneo, chiamando le cose col loro nome.
📽️ UN FILM
Vacanze romane. Nel 1953 Gregory Peck e Audrey Hepburn sono stati i protagonisti di un film che ne ha ispirati mille altri, che attira omaggi e citazioni.
So che c’è la Vespa che è diventata uno stereotipo imbullonato nella mente di chi pensa all’Italia, ma forse perché lo amo non lo accuso, al contrario di film come Mangia, prega, ama che non hanno l’attenuante di essere stati girati negli anni ‘50.
E se c’è una cosa che ci insegna in modo magistrale è a rendere l’ambientazione protagonista (fondamentale nella descrizione turistica).
📘 UN LIBRO
Il Mediterraneo in barca (di Georges Simenon). Chiunque conosce Simenon, anche chi non l’ha mai letto. Ma oltre che romanziere è stato un reporter, e in questo libro racconta un viaggio nel Mediterraneo sulla sua goletta.
Può sembrare strano, ma non mi piace la letteratura di viaggio. Trovo che spesso ci sia una visione troppo mistica del viaggio che porta all’illuminazione, e con una prosa che talvolta mi sembra eccessiva.
Qui no, Simenon racconta storie: un’ispirazione e una guida per chiunque racconti il turismo.
🎵 UNA CANZONE
Nessun riferimento e nessuna citazione, solo la canzone che mi fatto compagnia mentre buttavo giù l’idea di questo numero: un delicato rifacimento di Mr Sandman.
È tutto per oggi, alla prossima.
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Grazie Emilio
Essendo un turista, apprezzo molto la tua scrittura. Per conoscere la vera Italia devo districarmi tra gli stereotipi.